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 Gorelli

2003

 

Franco Corelli

Franco (all'anagrafe Dario) Corelli, tenore anconetano in carriera dal 1951 per circa trent'anni, è senz'ombra di dubbio uno degli Interpreti lirici in assoluto più autorevoli e significativi dell'intero '900. Vanta inoltre successi così sfolgoranti e tale immutevole celebrità da suscitare ancor oggi, a vent'anni dal ritiro, un tributo di standing ovation ad ogni sua apparizione in pubblico. Si è esibito sulle scene dei più prestigiosi Teatri del mondo con ben trentasette ruoli in repertorio, apportando grande lustro alla Lirica italiana grazie ai suoi eccezionali meriti artistici profusi con sapienza tecnica e generosità vocale.
Le cronache annotano che da ragazzo nulla faceva presagire che fosse votato ad una carriera artistica. Trascorre nella sua Città una normale esistenza comune alla maggior parte di giovani. Studia, si diploma, si iscrive all'Università, pratica sport, sopratutto nuoto e canottaggio. Una cosa però lo contraddistingue: un torrente di voce che talvolta non disdegna di esibire in compagnia degli amici. Sarà proprio uno di loro a spingerlo a prendere qualche lezione di canto nella vicina Pesaro, spronandolo a presentarsi nel 1950 alle selezioni per l'ammissione ai corsi di perfezionamento tenuti dal Comunale di Firenze. Le supererà ed in quella città studierà per la durata del corso. Nel gennaio del 1951 risulta tra i vincitori del Concorso indetto dal Centro Lirico Sperimentale di Spoleto, suscitando negli esaminatori - tra cui il M° Ottavio Ziino - impressioni molto favorevoli. Il ruolo che verrà assegnato al giovane tenore per intrapendere ed affrontare l'agone lirico è quello di Don Josè della Carmen di Bizet. La scelta si rivelò felicissima, i vecchi Maestri non erano degli sprovveduti ed il successo arrise a Corelli sin dal debutto (26/08/1951), consacrandolo subito in un personaggio i cui panni vestirà innumerevoli volte durante la carriera, sempre perfezionandolo al punto che "il suo" Don Josè resta insuperato ancor oggi.

Il teatro dell'Opera di Roma gli apre subito le porte ed il giovane tenore ha modo di confrontarsi ben presto, sempre in ruoli primari, con un pubblico attento e competente. Nessuna "gavetta" per questo Artista con singolari per doti vocali, sceniche ed interpretative. Ben presto è chiamato a Napoli, Palermo , Trieste ed altri Teatri di storica e salda tradizione operistica. Il debutto alla Scala avviene nel 1954 con La Vestale, nella serata che inaugura la Stagione, accanto ad una Collega del calibro della Callas (con la quale peraltro ha già cantato in Norma), Direttore Antonino Votto e Regista Luchino Visconti.
La sua presenza nel Teatro milanese, vero tempio della Lirica in quegli anni, sarà costante per un decennio ed il nostro giovane tenore vi si cimenterà con enorme consenso di pubblico e critica, non solo in ruoli di grande repertorio, ma anche in molti divenuti da tempo desueti per le notevoli difficoltà esecutive.
Pur conseguendo risultati artistici validissimi e consensi di enorme portata, Corelli per innato scrupolo personale ed assoluto senso professionale non si culla sugli allori conquistati ma tendendo a sempre maggiori traguardi di perfezione vocale ed accuratezza interpretativa continua nello studio con impegno ed una costanza che definire "solo" ammirevoli sarebbe riduttivo.

Nel 1961 inizia la svolta americana della carriera, con l'importante debutto al Metropolitan in II trovatore. In quel Teatro e nei celebri tour da questo organizzati, nonché presso altre famose Istituzioni teatrali, il nostro Tenore affronterà una nutrita schiera di ruoli che in Italia (dove purtroppo dalla metà degli anni '60 rientrerà sporadicamente e per brevi periodi) non canterà mai. L'unico di questi personaggi debuttanti in America che sarà possibile ascoltare in Teatri italiani sarà Rodolfo de La bohème, precisamente a Macerata nel '71 e poi nel 1976 a Torre del Lago nell'ambito della Stagione pucciniana nei luoghi cari a questo Compositore. Sarà proprio in questa occasione che Corelli si accomiaterà dall'Opera, proseguendo però nell'attività concertistica in America sino agli anni '80. Dotato di una voce assai estesa cioè in acuto ma al contempo in grado di emettere senza alcuna difficoltà note gravi timbrate e piene, Corelli si è distinto per la straordinaria potenza dei suoi mezzi vocali unita ad un timbro personalissimo, di caldo e vellutato colore scuro, carico per natura di pathos.
Quest'ultima caratteristica lo ha reso certamente rispondente ai canoni del tenore "drammatico" ma, sia la perfetta acquisizione della scienza del canto attraverso lo studio diuturno e caparbio, che il personale temperamento, gli anno consentito di essere un interprete ideale anche dei personaggi ideati vocalmente per tenore "lirico-spinto" cari a tanta parte del repertorio ottocentesco.
Corelli ha potuto validamente affrontare l'uno e l'altro repertorio non solo grazie al particolare colore vocale di cui è dotato, ma sopratutto per la sensibilità artistica e la tecnica sbalorditiva di cui ha saputo divenire padrone.
Il suo poderoso strumento vocale, superbamente "appoggiato", "sostenuto" ed "immascherato", ha acquistato un assoluta levigatezza ed omogeneità in tutta la sua estensione, rendendo totalmente inavvertito all'ascolto il famigerato "passaggio", arricchendosi di luminosità sempre più splendente nell'ascendere alla zona acuta per prorompere con squillo poderoso al balenare di sovracuti saldi e lucenti come lame, emessi anche visivamente senza apparente sforzo.

Restano leggendari il suo dominio dei fiati peraltro stupefacenti che gli ha consentito di piegare lo strapotere della voce alla assoluta flessibilità di un vertiginoso "legato" che non teme confronti, nonché la capacità di alleggerire, modulare e trascolorare il suono in emozionanti mezzevoci, in smorzature e filature prolungate a volontà e sino al limite dell'udibile. Tali prodezze vocali, rese con arte e sensibilità rare, lo hanno reso un vero e proprio fenomeno vocale ed Interprete prediletto dal pubblico.
Memorabili, per citare solo pochi esempi e relativi a ruoli più volte affrontati in Italia, la ricchezza delle sue inflessioni dinamiche ed espressive nella romanza di Alvaro (La forza del destino), la travolgente impetuosità e perfezione dei suoi trilli nella "pira" (II trovatore), la stupefacente smorzatura effettuata anche in recita del Si bemolle attaccato a piena voce del suo Radames (Aida), il torrenziale "Vittoria" e l'infinita filatura dei "veli" del suo Cavaradossi (Tosca) e del "fiore" del suo Don Josè (Carmen), lo slancio appassionato del suo Calaf (Turandot) e di Chenier.
Conquistato un perfetto e sensibilissimo strumento vocale, Corelli ha potuto imprimere il suo sigillo di interprete sommo anche in quel repertorio "romantico" che sembrava agli inizi di carriera estraneo al colore "drammatico" della sua voce imponendo, con tutta la forza della sua tecnica ed una attenta "lettura" storica, un ritorno alla tradizione aulica del canto "sul fiato", dell'emissione morbida, modulata, variegata e capace di intimità come di passione.
In virtù delle eccezionali caratteristiche, la sua voce sia infiammata nell'impeto del fraseggio incandescente, che velata nella virile malinconia del canto pregno di tutta l'infelicità del vivere che è retaggio dell'uomo romantico, divenne l'ideale veicolo attraverso cui presero vita i tanti personaggi del "bel tenebroso" di letteraria memoria le cui gesta e le cui problematiche esistenziali i più grandi Compositori ottocenteschi seppero mettere efficacemente in musica.
In breve, Franco Corelli ha saputo incarnare in modo totale per caratteristiche vocali, eleganza del portamento e nobiltà del gesto, il tutto unito ad un notevole phisique du role ed a non comuni doti sceniche, ognuno dei personaggi che ha posto in repertorio, imprimendo in ciascuno di essi un orma inconfondibile che non può essere ignorata o disattesa. In un momento nel quale, per quanto attiene il repertorio tenoriale, la generosità vocale di Del Monaco, il timbro di rara malia di Di Stefano, la rifinita tecnica di Bergonzi davano lustro all'Opera italiana, Corelli ha saputo competere con le peculiarità di ciascuno sul loro stesso terreno, restando sempre ed esclusivamente "Corelli" e conquistando allori di gloria e valore che il tempo non sbiadisce.

Passando dal primo e prediletto José della Carmen, indimenticabile anche nel suo stravolgente impeto degli ultimi due atti, agli erori della "Giovane Scuola", senza nulla perdere in signorilità di emissione tanto nell'appassionata emozione del suo Chenier, autentico poeta della rivoluzione, come nel suo sofferto Turiddu, minuziosamente ricreato nella sicilianità persino nei gesti, ed attraverso la vibrante gamma dei protagonisti verdiani: Arrigo, Gabiele, Alvaro, Emani, Manrico, Don Carlo, Radames, Macduff, illuminati con l'impeto della folgore, Corelli sarà in grado di restituire ben altro carattere e sostanza anche a ruoli ritenuti poco interessanti per un tenore, come il Pollione della Norma ed il Calaf della Turandot. Attraverso la voce e l'interpretazione di Corelli il proconsole romano tornerà a cantare ed agire con tutta l'autorevolezza e quella passione che Bellini aveva immaginato e di cui abbiamo riscontro esaminandone l'epistolario, restituendo così all'equilibrio l'economia complessiva di un'interpretazione spesso eccessivamente sbilanciata a favore della sacerdotessa. Del pari, il principe ignoto acquisterà in possanza, splendore e passione sino a divenire il solo possibile antagonista della "principessa di gelo" che, finalmente in modo credibile, non potrà resistere al fuoco dell'amore.
Nel momento attuale, in cui sopratutto la voce di tenore ed in particolare del tenore "epico" sembra latitare, Corelli si pone come esempio chiarissimo a quei giovani che intendono intraprendere con tutto l'impegno necessario l'arduo e faticoso cammino del cantante lirico.
Persona di estrema sensibilità, preparazione musicale e cultura, è per natura molto riservato e unanimemente giudicato anche dagli stessi colleghi un vero Gentiluomo, nella professione e nella vita.

Interprete prediletto dei maggiori Maestri Direttori d'Orchestra, rimane uno dei Giganti dell'interpretazione del Melodramma.
Dopo il ritiro dalle scene che preferì effettuare ancora in possesso di straordinarie possibilità vocali, lasciando un mai sopito rimpianto di non poterlo ancora ascoltare; le insistenze del mondo della Cultura, lo hanno convinto a non disperdere le conoscenze e le esperienze che, attraverso lo studio costante ed intelligente, aveva conquistato ed a mettere a disposizione dei giovani che si dedicano al canto la sua scienza in merito all'apprendimento dell'arte e dell'Interpretazione operistica.
Ha tenuto quindi per molti anni a New York una prestigiosa Cattedra di canto ed ancor oggi, tornato a vivere in Italia da circa dieci anni, viene costantemente richiesto dalle più prestigiose Istituzioni per Master di compimento superiore interpretativo.
Atteso la costante richiesta del pubblico, le più importanti Case discografiche rieditano frequentemente sue incisioni nonché innumerevoli live che lo vedono protagonista di recite rimaste storiche.
E stato insignito dei maggiori riconoscimenti ed onoreficenze per meriti culturali e di numerosi Premi nazionali ed internazionali.

Motivazioni del Premio

II Premio è attribuito quale sentito omaggio ad un artista lirico che onora l'Italia e le cui interpretazioni hanno suscitato nel pubblico di ogni Continente grandi e profondi emozioni non solo per le eccezionali doti vocali e sceniche, sempre profuse con generosità, ma anche grazie alla rara sensibilità artistica dimostrata.
Per aver saputo con la sua Arte dare voce all'anima di ogni personaggio portato sulle scene, rappresentando ai massimi vertici l'arte lirica nel mondo ed al contempo ponendosi, per i giovani artisti, fulgido esempio di dedizione al Canto ed altissima professionalità.

Testo tratto dal ciclo di conversazioni a tema "l'Arte di Francesco Corelli",
tenuta dalla Dr. Cetty Gentile Amenta nel 1995



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